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Uomo, dove sei?

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di Caterina Orsenigo

“Dove sei?”, chiede Dio a Adamo. “Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto»”. (Genesi 3,9-10).

Nel piccolo e splendido libro Il cammino dell’uomo, Martin Buber spiega così questo passo della Bibbia: “Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo una reazione suscitabile solo attraverso una simile domanda”. Ciò che gli sta veramente chiedendo – e che chiede a ogni uomo – è infatti: “Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?”.

E “Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo”.

Eccoci nascosti nelle nostre case, mentre fuori insieme al virus infuria questa domanda. Uomo, dove sei?

L’uomo si nasconde perché ha mangiato all’albero dell’arroganza e si vergogna. Sa di aver estratto dalla terra ogni sua risorsa, di aver preso e non dato, di aver preteso sempre più comodità e velocità e beni e quantità, di aver reso l’aria inquinata e deboli i propri polmoni, di aver minato la biodiversità del pianeta e in questo modo lasciato a virus e malattie provenienti dagli animali la strada libera per abbattersi sulla nostra specie, proprio come quando si taglia un bosco e la slavina che sempre era stata trattenuta dagli alberi viene a distruggere un villaggio.

Così, non appena è arrivato il virus a fargli da specchio, l’uomo s’è guardato, s’visto nudo, indifeso, pulite le mani ma sporca la coscienza, e si è barricato in casa, vergognoso come non ricordava di potersi sentire.

E se gli giunge, anche solo dal fondo della propria coscienza o attraverso qualche eco lontana, senza bisogno di scomodare un dio, la domanda: “Dove sei? Che cosa hai fatto?”, non riesce a dire altro che “non è colpa mia”: “Rispose l’uomo: «la donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero»” (Genesi 3,12).

E intanto con le mani dietro la schiena arraffa nelle spazzature del potere qualche mezzo di fortuna per rappezzare lo squarcio enorme che tenta di celare col proprio misero corpo, come un bambino che creda di nascondere il bagno allagato, asciugando con una spugnetta e mettendosi davanti alla porta, e contro ogni evidenza affermando “Non sono stato io”.

Trova a tentoni mascherine usa e getta, meschine criminalizzazioni di condotte perfettamente innocue, e poi guanti monouso, scudi di plexiglass che accrescano le fila della nostra immondizia (e ci consentano di nasconderci anche quando man mano si esce di casa) e applicazioni di tracing che se non inquinano l’aria inquinano l’anima. Elargisce disposizioni che indicano uno per uno i parenti fino al sesto grado che si possono o no incontrare, agisce sull’infimo dettaglio, dettagli che spesso non hanno più nulla a che fare col virus, diversivi infantili, perché, preso dallo spavento di essere stato colto in fallo, non sa come muovere quelle mani tremanti dietro la schiena. E non vuole, soprattutto non vuole, smettere il gioco, cambiare profondamente la produzione, interrogarsi su che cosa, a monte, sia andato storto. Al massimo parlerà più spesso di ecologia, cambierà qualcosa, perché tutto rimanga com’è.

Guido Ceronetti, nella postfazione all’edizione Adelphi del Libro di Giobbe, scriveva: “Se ci sono per la condizione umana prospettive terrificanti, è perché abbiamo progettato e attuato ogni specie di soluzioni finali contro mali, veri o inventati, di qualsiasi natura: mosche, popoli, interdetti sacri, distanze, ec.”. Questo, in senso lato, è l’albero dell’arroganza a cui abbiamo mangiato: soluzioni finali contro le distanze, la fatica, forse addirittura la morte, finora sempre a spese di chi stava fuori dal perimetro del nostro orizzonte, questa volta a spese anche nostre.

Alla domanda, uomo dove sei? che la vita sta ponendo a tutti in questo momento, potremmo rispondere semplicemente “sono qui”, uscendo dal nostro nascondiglio, senza coprire i nostri errori e le nostre nudità, senza cercare pezze meschine per rammendare crepe troppo profonde, reprimendo qualsiasi istintivo “non sono stato io” ma senza affliggersi per le presunte colpe, sarebbe inutile. Uscire, magari in silenzio, rimboccarsi le maniche e, facendosi umili, sporcarsi le mani, nutrire la terra, alleggerire le città sovraccariche, le autostrade zeppe di camion che portano, da un lato all’altro del pianeta, merci (forse macchiate di lavoro sottopagato, fame, malattie, estrattivismo) e magari anche virus. Uscire dal nascondiglio e, come tanti già fanno dal basso, darsi da fare per “riparare il mondo”, con la speranza di liberarsi di questa piaga e soprattutto di scongiurarne di future. Al concetto di riparare il mondo in ebraico corrisponde l’espressione ‘Tiqqun ‘Olam: è la responsabilità sociale, la missione dell’uomo, l’impegno di ciascuno a riparare ogni equilibrio spezzato, ogni torto commesso verso qualcuno o qualcosa.

Solo a settembre Greta Thumberg richiamava a questa responsabilità. Sembrano passati secoli.

Alcuni giorni fa Mariana Mazzucato, economista del University College London e attuale membro della Task Force del Governo, ha detto in un’intervista su Repubblica che “L’Italia deve tornare presto alla normalità per quel che riguarda le scuole, il lavoro, il tempo libero. Ma per l’economia non deve avere come obiettivo la situazione di prima, perché quella situazione è ricca di difetti”.

Sta ai governi, ma sempre anche e soprattutto a ciascuno, rispondere a questi appelli: “sono qui”.

Ora che stiamo uscendo dalle nostre case, che la piaga del virus ci sta lasciando forse un po’ respirare, ora c’è da rispondere. E l’uomo risponde “sono qui” quando si prende le responsabilità di questa crisi, quando sceglie di non tornare al “mondo di prima” e ribalta le priorità, quando riesce a mantenere umanità in mezzo alla paura, quando giudica lucidamente ogni situazione e non si limita a obbedire, e non si limita a essere contro, quando accetta che la vita per sua natura sia intrisa di rischio, quando sa che la libertà comporta il rischio, quando impara che non si può avere tutto, e nulla di quello che abbiamo sempre avuto è scontato, quando porta la spesa a sconosciuti in quarantena invece di starsene al sicuro a casa, quando raccoglie le arance cadute di un’anziana che non si può piegare anche se le regole non lo permettono, quando usa gentilezza, quando fa un’eccezione, quando ricorda che il distanziamento può essere fisico ma non deve mai essere sociale, quando spende soldi e energie non per app invadenti e ritardatarie ma per impegnarsi in coraggiose reinvenzioni ecologiche, quando non schiaccia i diritti civili sotto gli interessi economici, quando invece di varare norme inutili sul numero di metri percorribili e parenti visitabili vara misure intelligenti e ad ampio respiro, quando coi propri mezzi, ognuno facendo al meglio ciò che meglio sa fare, cerca di riparare il mondo, anche se non è stato lui a romperlo.

(Foto)

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